Da oltre un mese il mondo della scuola pare catapultato, come molte altre realtà, in una nuova dimensione. L’emergenza ha portato tutto il personale scolastico, le famiglie e gli studenti, i bambini e le bambine, a mettere da parte ciò che fino a questo momento hanno vissuto e a sperimentare, come mai prima d’ora, nuovi modi di essere e di fare scuola. Come insegnanti evangelici abbiamo riscoperto la primarietà della famiglia e il nostro ruolo di educatori delegati, la grande opportunità di operare collegati alla rete di altre agenzie educative altrettanto importanti, la consapevolezza che non dipende tutto da noi, ma dal volere del Dio onnipotente che amiamo e serviamo. Come insegnanti rimane aperta dentro di noi la domanda su che cosa l’attuale esperienza del Coronavirus abbia da insegnarci, perché crediamo che debba avere un insegnamento da ricevere e da condividere con i nostri studenti. Tra i tanti che in questi tempi passano sugli schermi dei pc, dei tablet e dei cellulari ai quali siamo connessi con la “didattica a distanza”, un video in particolare si presta a una riflessione. Si tratta de “Il puntino che si credeva un Re”, un bel lavoro della pedagogista Sara Caretta. Narra di un puntino, appunto il Coronavirus, che credendosi un Re arriva a gestire la vita delle persone a modo suo, con grave danno per tutti, fino a quando i bambini, grazie ai superpoteri forniti dalle mani pulite, dalle mascherine e dalla speranza, riescono a sconfiggerlo, e tutti ritornano a vivere insieme felici e contenti. Seguendo il racconto, che spiega in modo semplice e naturale il dramma che stiamo vivendo, rimane tuttavia una perplessità: da dove viene la certezza che andrà tutto bene? La situazione iniziale che viene recuperata alla fine, dopo la sconfitta del virus, è davvero così felice? La fine è uguale all’inizio? L’esperienza della pandemia quindi non lascia nulla di nuovo, di cambiato nella nostra vita? Se questo è l’insegnamento che dobbiamo trarne, direi che non siamo stati attenti. Se infatti ci pensiamo meglio, il puntino che voleva diventare un Re assomiglia molto alla storia dell’uomo. Questo puntino microscopico che popola la Terra, un pianeta microscopico nell’universo, pensa, agisce e vive come se fosse il Re dell’universo. Tutta la nostra didattica e pedagogia girano attorno all’uomo re e alla donna regina, al bambino principe e alla bambina principessa. Insegniamo ai nostri figli e studenti a stare al centro del mondo. L’umanità è un mantra che si autoalimenta all’infinito, un puntino che vorrebbe stare sul trono, scortato da tutti i suoi consiglieri: la scienza, la competenza, la cultura, la conoscenza, la tecnologia… E come ogni consigliere cospira per arrivare al trono, così ogni dimensione ambisce ad assorbire la totalità della nostra vita. Anche la scuola, tanto che ci si domanda se sia la scuola per la vita, o la vita per la scuola. Il problema si pone in questi termini: se vogliamo imparare qualcosa dall’emergenza causata dal virus, dobbiamo mettere in discussione non tanto la scienza, che è una grande cosa, ma la sua presunta onnipotenza. Dobbiamo relativizzare non tanto la speranza, che dobbiamo avere, ma l’ottimistico slogan di cui riempiamo i nostri discorsi, senza pensare che l’auspicio che vada tutto bene ha una condizione: “Se Dio vuole”.Dobbiamo renderci conto che la situazione che stiamo vivendo non è avvenuta per caso e non sparirà per i nostri sforzi, per quanto lodevoli essi siano. Insieme al rispetto e alla lode per il lavoro di tutti noi, dobbiamo accogliere il pensiero della nostra piccolezza di fronte a una sfida così grande. Perché può essere che finisca bene, ma può essere che non sia l’ultima sfida che dovremo affrontare. E per affrontare sfide del genere, occorre una qualità che è diventata molto rara: il timore di Dio. Riscopriamo, insieme alla nostra piccolezza, la provvidenza divina che ci dà ancora i mezzi per affrontare la pandemia, per aiutare i più deboli, per condividere la ricchezza delle risorse a nostra disposizione. Ripensiamo a come si viveva “prima”, alla cieca frenesia che ha portato allo sconvolgimento ambientale, alle migrazioni, alla povertà, allo sviluppo che ha causato il depauperamento di interi continenti, alla fame di intere popolazioni, allo scioglimento dei ghiacciai, alle carestie, alle invasioni di cavallette, all’insoddisfazione di vivere una vita senza scopo… alla mancanza di futuro per le nuove generazioni. Ora abbiamo ancora il tempo di ravvederci, riconoscere le vere priorità e mettere in ordine la nostra vita. Questo è l’insegnamento da imparare e da lasciare in eredità alle future generazioni, finché c’è tempo, perché il tempo di vivere è il dono più prezioso che ancora riceviamo dalle mani del vero Re e dell’unico Salvatore.
Per il Comitato Insegnanti Evangelici in Italia
Lidia Goldoni 10 aprile 2020